mercoledì 28 settembre 2011

La ricerca della verità...

"Tutto ciò che è quasi vero, è in realtà completamente falso, ed è l'errore più pericoloso in cui si possa incorrere, perchè più si va vicino alla verità e più probabilità ci sono di andare del tutto fuori strada."

Henry Ward Beecher (1813-1887)

Quanto conta per un praticante di una qualsiasi arte marziale (non necessariamente l'Aikido), la ricerca della verità? E poi, che cos'è questa benedetta verità?

Due premesse, la prima: tutto ciò che dirò in questo blog non rispecchia quello che è il pensiero della federazione, della scuola e dei maestri a cui appartengo e discendo. Dunque mi assumo la completa responsabilità delle affermazioni che da qui in poi farò.
La seconda: nonostante possa così apparire ai più giovani ed inesperti, ciò che dico non è nulla di trascendentale, ma anzi è il ribadire un concetto proprio di molti, e pure da moltissimi anni (secoli, per la verità, giustappunto). Dunque (contraddicendomi con quanto detto al punto primo, alla faccia della coerenza) di paternità nulla, solo la consapevolezza di essere su un sentiero già percorso da altri prima di me.

La ricerca della verità dicevo. Per un praticante di arti marziali, anzi no, per un artista marziale (lo so che la differenza è sottile, ma c'è), dove si colloca tale bisogno? Esiste davvero tale bisogno? Dipende. Dipende dal punto stesso in cui si è arrivati, dipende dalla capacità critica di autoanalisi che noi stessi, ad un certo punto, dovremmo sentire di dover fare (esigenza d'obbligo, direi). Per onestà, verso se stessi, prima ancora che verso gli allievi (che beneficeranno di riflesso, di tale correttezza).
E l'onestà di un artista, impegnato sulla strada dell'Aikido, è ancor più dolorosa e difficile di quanto si possa pensare. Perchè significa venire a patti con quella che è più di una forma, significa iniziare a domandarsi della logica imprescindibile che costituisce l'intera struttura (ossatura) della nostra forma, significa discernere e comprenderne veramente i principi su cui si fonda e si muove (con buona pace di ogni tipo di esotica suggestione), significa questo, per un artista marziale, la ricerca concreta della verità.

Spesso, molto spesso, ci viene chiesto se ciò che facciamo funziona. Se l'Aikido funziona per davvero.
Ed io rispondo che sì, certo che funziona, ma forse quello che intendo io normalmente con questa affermazione (in cui credo profondamente), non è quello che la maggior parte dei neofiti dell'Aikido intendono, o credono di intendere.
Perchè l'Aikido che funziona, per questi ultimi, è un immaginifico scenario dove pseudo samurai combattono e sgominano i più temibili aggressori, il tutto attraverso l'uso delle forme che hanno così diligentemente appreso in palestra. Che è quanto di più lontano da quello che invece intende il sottoscritto, per l'appunto. L'Aikido funziona nella sua forma base, perchè così deve essere, pena una colossale perdita di tempo e dispendio inutile di energie. Ma va ben intesa però. Funziona, ovvero è funzionale nella sua stessa costruzione e svolgimento, perchè ciò che apprendiamo in effetti non è una forma per combattere contro un avversario, quanto piuttosto una forma e una particolare pedagogia che ce lo insegna e fa applicare, funzionale all'aprirci la strada verso la comprensione di un principio, quello sì (va da se), fondamentale per il vero Aikido, fuori da ogni costrutto e da preconfezioni di sorta.
E', come dicevo, un particolare metodo pedagogico d'insegnamento, ben radicato all'interno di una cultura (quella giapponese), così profondamente legata all'estetica pura, così diversa nella finalità ultima da quella occidentale. L'Aikido stesso infatti, non può prescindere ne allontanarsi da questo modello, ma sta a noi occidentali comprenderlo ed affrontarlo, oltre l'ostacolo spesso scoraggiante della cultura, per rendere anch'esso funzionale ad uno scopo ben preciso (Descartes lo sapeva bene), che non è assolutamente "solo" bello, ma appunto vero perchè divenuto naturale (in accordo con la loro di estetica che persegue questo fine, e non la nostra).
Quando pratichiamo il nostro "katatedori ikkyo" sul tatami, dovremmo essere tutti un po' più consapevoli che si è alle prese con una forma, e che di questa alla fine, scavata a fondo, ci interesseranno per davvero i principi che la governano, piuttosto che il cercare di piegare il braccio, costi quel che costi, a quell'uke che non ne vuol sapere di collaborare...

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