lunedì 13 giugno 2016

Questa è competenza

Nel dodicesimo giorno del decimo mese, nel primo anno di Meiwa (1764), un samurai di nome Kimura Kyuhou, allievo nello stile di scherma Unchu-ryu, fondato da Itou Nyudo Kii Suketada, della provincia di Oushuu, decise di mettere per iscritto nel libretto Kenjutsu Fushiki Hen* (Ignoranza nella scherma), a memoria dei propri allievi, il discorso di cui era stato testimone tra il suo venerabile maestro, Hori Rinjitsu, e un visitatore straniero, riguardo il metodo peculiare con cui si formavano gli adepti di tale scuola.
Qui sotto troverete l'estratto più significativo, a mio parere, di tale incontro, trascritto dall'attentissimo Kimura.



L'ospite disse:«Maestro, hai distillato dal vuoto un unico principio della scherma. Anche se ciò che affermi è giusto, è molto avanzato e difficile da realizzare per l'inesperto. Benché i più dotati possono fare progressi perfezionando questo singolo principio, dire che si deve abbandonare ciò che si è imparato ricorda un monaco sulla via dell'illuminazione che armeggia con una spada; i moti confusi e impacciati della mente non aiutano a raggiungere questo stato. Fin dall'antichità i grandi comandanti guardavano con attenzione le tecniche poco sofisticate usate dai provinciali o durante gli addestramenti militari, traendone non pochi vantaggi. Anzi, queste personalità stimate affermano che non si dovrebbe perdere la semplicità. In modo simile, non si dovrebbero dimenticare le secche attraversate per arrivare alle acque profonde, o percorrere con noncuranza le colline per raggiungere le vette: segui solo il principio. In un primo tempo ci si dovrebbe dedicare semplicemente a quel che ci viene insegnato e il principio si svilupperà naturalmente».
Il maestro rispose:«Quel che dici è molto ragionevole. Nel guidare l'inesperto faccio proprio come hai detto. Comunque, non insegno schemi preordinati di mosse. Per questo, tra le persone che non hanno dimestichezza con la scherma, molti hanno l'impressione che la mia sia un'arte soltanto teorica. Per chi non fa parte della scuola è difficile comprendere. Con gli schemi preordinati, tutti compiono movimenti prestabiliti, non è realistico. Quindi, anche se all'inizio imparano per qualche tempo le forme, ciò non dura a lungo. In seguito li istruisco in modo realistico. Se in questa tecnica c'è qualche divergenza dal principio, è soltanto in quanto fondamento per procedere nell'arte basata sulla via dell'unico principio. Non è necessario abbandonare nulla.
Le cosiddette tecniche sono soltanto una serie di schemi prestabiliti. In questa scuola non si fa uso di tali schemi né si usano insiemi di forme. Le tecniche pratiche che nascono dal principio vengono mostrate utilizzando la via della risposta spontanea.
 Quando inizi c'è un'apertura, che ti permette di fare i primi passi per comprendere il principio unico. Gradualmente ti lasci travolgere e ti adatti al principio, la mente si calma e ti senti pieno d'energia. In una progressione naturale, le tue paure svaniscono, poi man mano che ti addentri nel pericolo sei costretto ad adottare tutte le posizioni, i fendenti e gli affondi contro il nemico.
 A questo punto insegno le tecniche che incorporano il principio del vuoto per fare pressione sul nemico; poi il principio del vuoto e la 'luna nell'acqua' si fondono e lo studente impara a intuire l'intenzione del nemico grazie al vuoto. Quando raggiunge questa capacità, sarà in grado di armonizzarsi e fondersi con la spinta impressa dall'avversario.
Questo è il cuore della scuola Yagyu. Quando lo studente avrà perfezionato tutti questi punti iniziali e avrà esplorato a fondo lo shinjutsu (tecniche della mente e dello spirito), raggiungerà il distacco dalla vita e dalla morte, e tecniche e teoria potranno essere messe da parte. Abbandonare tecniche e teoria è detto mushin, o 'non mente'. Quando ottieni la 'non mente', mente e corpo rispondono spontaneamente a quel che accade.
Avendo già raggiunto la padronanza tecnica e teorica, sarai naturalmente in grado di capire il livello dell'avversario, i suoi punti forti o deboli e la via per la vittoria. Non vi è alcuna situazione o categoria di persone in tutto il mondo a cui non si possa applicare quanto sopra. Sicuramente gli antichi maestri avevano queste doti».
L'ospite disse:«Indubbiamente ci sono altri modi per raggiungere questo livello avanzato. Non sono del tutto d'accordo con quello che hai detto. Tutte le varie case distinguono gli studenti principianti da quelli intermedi in base al numero di schemi che conoscono, e quando procedono a un livello superiore ci sono ancora più forme da imparare.
Innanzitutto l'insegnante non deve essere umile. Allo stesso modo, nella vita politica, un samurai di basso rango può diventare un uomo di una certa responsabilità, avere spesso a che fare con magistrati, e forse diventare anche un condottiero. Senza dubbio porre una grande attenzione alle questioni amministrative gli darà molti vantaggi. Quindi perché non dovresti insegnare usando esempi ben stabiliti?».
Il maestro rispose:«La tua fiducia ingenua in un progresso dal grado basilare a quello difficile, che nella scherma implica l'uso di coreografie prestabilite, è abbastanza ragionevole, visto che è il metodo adottato dalla maggioranza degli insegnanti.
Sia come sia, Kino Nyudo, fondatore di questa scuola, come il maestro Yagyu  Munenori di Washu e Miura Masanari di Busho, fondatore dello stile Mugan, rese onore al suo campo, e superò diverse scuole, vecchie e nuove. Prendendo con sé due o tre discepoli, andò a spiare nelle diverse scuole di Tobu. Tutte impiegavano kata in coppia e nessuna aveva raggiunto notevoli capacità. Tra coloro che mostravano una scarsa comprensione c'erano i maestri ortodossi che creavano e insegnavano questi kata. Anche se si dice l'uso dei kata rende facile capire e migliorare i punti essenziali dello stile, i risultati dovrebbero confermarlo. Di fatto i kata non sono in grado di condurre nessuno alla comprensione del principio. Dopo aver ottenuto un attestato di merito da una tradizione che misura i risultati conseguiti in base al progresso in questi kata, difficilmente ci si renderà conto dell'errore. Non c'è nulla che contraddistingue la verità. Pertanto è senza dubbio molto difficile iniziare chi ha raggiunto tale livello. Ecco perché fin dall'inizio si dovrebbe sviluppare la mente del principiante facendogli cogliere qualche barlume del principio: per mezzo del vuoto (kyo) svilupperà il reale (jitsu). Dapprima percepirà solo debolmente il principio, come un filo o una nebbia, ma via via che accumula intuizioni, progredirà e raggiungerà la comprensione tecnica e teorica. Questa è competenza. Questo dovrebbero tramandare i maestri».


* Nota bibliografica: Il teso integrale (presumo, mi devo fidare del curatore che lo ha selezionato per inserirlo nell'antologia), si trova in La mente del Samurai, a cura di C. Hellman, edizioni Astrolabio, Roma 2011, cap. V, p. 110.


sabato 30 aprile 2016

Stance

Come è noto ai più, spesso il rimbrotto a riguardo dell'Aikido da parte delle discipline da combattimento (o di Budo come il Karate, che nella loro didattica includono il confronto sportivo), è che la nostra sia disciplina 'poco realistica' sotto vari aspetti.
Tra i tanti ritenuti altamente criticabili, vi è la 'guardia a L', altrimenti detta nel gergo specifico dell'Aikido come guardia in 'hanmi'.
In effetti, il tipo di posizione sostenuta da chi pratica l'arte di Ueshiba differisce peculiarmente da quelle che sono invece considerate da molti esperti, guardie più funzionali al combattimento sportivo, che si tratti di boxe, kickboxing, thai o per l'appunto Karate.
Come mai? Come mai l'Aikido sceglie consapevolmente di sviluppare la sua intera didattica in questo modo, invece di adattarsi a un modello di guardia (o posizione dei propri piedi rispetto a una linea d'attacco e asse centrale di controllo) che è sostanzialmente differente?
Perché, dalle altre discipline sopraelencate, è così criticata?
In anni di sviluppo del sistema sportivo, le discipline da combattimento che si orientano alla percussione come area di specializzazione, hanno trovato risposta funzionale a quel contesto adottando una guardia che, nella maggior parte dei casi, si sviluppa su due linee parallele di attacco (binari), in modo da poter sfruttare spostamenti e allunghi in veloci scambi all'interno del quadrato. Chiaramente, non vi è nulla di sbagliato. Si è trattato di adattamento allo specifico, cosa del tutto naturale per l'evoluzione dello sport da combattimento, 'sport da combattimento' che in effetti - a tutti gli effetti - Aikido non è.
Più volte si è ribadito infatti che l'Aikido è Budo, e come tale va inteso, ovvero come disciplina che abbraccia totalmente l'idea di un confronto senza regolamentazioni particolari, che possano limitarne l'agire in qualsiasi modo.
In soldoni questo cosa vuol dire? Che l'Aikido ha tecniche così mortali(!?) che non si può confrontare con, ad esempio, la boxe? No. Un cazzotto ben assestato - vi assicuro - può essere altrettanto 'mortale'.
Vuol dire che diversamente dallo scegliere di modificare un tipo di impostazione che dovrebbe a sua volta rivoluzionarne non solo la didattica ma il vero e proprio patrimonio tecnico dell'Arte, per adattarsi a un sistema che per sua stessa ragion d'essere ha bisogno di regolamentarsi in modo attentissimo (per integrità, sistema di punteggio, inquadramento generale e filosofia sportiva), si è preferito - per volere dello stesso fondatore, Ueshiba Morihei - di continuare a percorrere un insegnamento che contenesse ancora e completamente nozioni a cui, per forza di cose, le altre discipline hanno dovuto rinunciare.
Questo ha fatto si, chiaramente, che le forme di insegnamento si differenziassero esponenzialmente, al punto da far dimenticare da ambo le parti (Aikido da una, sport da combattimento dall'altra), alcune cose essenziali.
E' vero - ahimè - che troppo spesso l'approccio alla pratica dell'Aikido tralascia colpevolmente il confronto fisico (costruito e sensato), in ragione di un clima rilassato che su un arco temporale nemmeno tanto lungo si è rivelato completamente deleterio per il mantenimento del cuore stesso della disciplina, cuore che ne permette giusto sviluppo e giusta comprensione. Da qui la deriva di alcuni/troppi che pensano di praticare Aikido, ma che non lo fanno, con gli sconfortanti commenti di esponenti di altre 'arti marziali' che svalutano completamente non chi pratica in modo erroneo - come si dovrebbe - ma l'Aikido in toto.
Al punto tale che una semplice critica sulla posizione di guardia - l'argomento di questo post - non è immediatamente e facilmente giustificabile proprio da chi quest'Arte la pratica.
Facile rifarsi alle arti tradizionali giapponesi (koryū), di cui l'Aikido non fa parte, ma che ne mantiene e ne trae i princìpi che la sorreggono, per giustificare la posizione in hanmi; tale giustifica, è comunque giustificazione di forma, che in alcun modo ci da il reale motivo per cui si assuma questa guardia anziché no.
Per risalire al vero motivo, bisogna risalire davvero alle origini, ai campi di battaglia, dove lo scontro era ben differente da quello che ci prefiguriamo solitamente, dove a farla da padrone sono tutti i topos dell'epica classica giapponese, ripresi poi in film e spacciati ampiamente nei corsi dove non c'è vera ricerca, non c'è ricerca di realtà storica: onore, tranquillità interiore, codice del samurai che mai e poi mai avrebbe fatto cose disdicevoli per vincere il confronto. No. Se il confronto era mortale, la vittoria era ricercata a tutti i costi e per l'ottenimento di questo obiettivo era necessario qualsiasi mezzo disponibile (l'introduzione dello zen, ad esempio, è a questo che è servito, non per alta filosofia morale).
Dunque la strategia era fondamentale, e la sua elaborazione è passata attraverso una serie lunghissima di test diretti sul campo, da cui sono uscite le diverse scuole che ancora oggi studiano forme risalenti a cinque secoli fa, perfettamente cristallizzate nel tempo.
Nella Kashima Shin, come nella Daito, nella Yagyu, nella Tenshin Shin'yo (tutte scuole con cui Ueshiba era venuto a contatto) si adotta la posizione che oggi prende il nome di hanmi, per motivi strettamente funzionali. Di efficacia.
Tale posizione doveva infatti rispondere ad un possibile attacco che era concentrato non su un'area ben specifica, ma su tutto la superficie del corpo scoperta, ed in più, portato non solo con armi, ma eventualmente a mani nude, dando luogo a scontri dove la lotta corpo a corpo non era affatto così rara come possiamo prefigurarci.
Va da sé - più o meno, meglio una verifica empirica sul tatami - immaginare il perché di una guardia che preferisce esporre solo un profilo, che mantiene il controllo sul proprio asse fino alla fine, che renda possibile trasferimenti di peso senza evidenti spostamenti fisici dalla propria posizione, se non ad attacco già in atto.
Certo, tutto questo non è evidente, non è immediatamente intellegibile per chi pratica uno sport da combattimento, che rivolge la propria attenzione su altro, che non ha necessità di difendersi da un'eventuale proiezione alle gambe che non arriverà mai, pena la squalifica dalla competizione.
Solo negli ultimi anni la riprova che tale posizione in hanmi sia tutto fuorché insensata - come volevano le critiche - curiosamente ci arriva confermata proprio da uno sport da combattimento, anzi da quello che più di tutti ha allargato il senso così stretto e specifico - finora - della parola con cui era inteso dagli esperti: le arti marziali miste, il cui acronimo più conosciuto è quello anglofono di MMA (mixed martial arts).
Come avrà notato chi segue più assiduamente, la quasi totalità dei lottatori presenti nel circuito più competitivo di questa disciplina, che è l'Ultimate Fighting Championship, adotta senza nessun paradosso, proprio la guardia a L.
Come mai? Per le ragioni esposte poc'anzi: pur provenendo dalle più disparate discipline, devono tutti fare i conti con quello che è la realtà strategica imposta da questo genere di confronto, che non è più concentrato su un'area specifica e delimitata, ma che si allarga a tutte le aree e le distanze, arrivando (fatto salvo le regole imprescindibili) davvero in prossimità di quello che gli antichi samurai conoscevano di prima mano: il combattimento tout court.
Dovranno quindi porre attenzione non solo alla guardia alta (per proteggere volto e tronco superiore), ma pure a quella bassa (per evitare proiezioni a tutto campo). Il modo migliore per evitare queste ultime - assalto per lo più cercato da chi di base arriva dal wrestling universitario, dalla lotta olimpica o dal jiu jitsu - sarà quello di concedere meno spazio possibile, preferendo quindi una guardia di profilo a quella saldamente poggiata su due binari distinti.


Nell'immagine abbiamo l'esempio di due guardie: una in hanmi appunto, adottata da Lyoto Machida (che paradossalmente arriva dal Karate Shotokan, famoso per i kumite combattuti in fudo dachi, zenkutsu dachi o neko ashi, quindi raramente su una linea d'attacco singola) e Mauricio Rua con la guardia tipica della Muay Thai, con il peso del corpo sull'appoggio posteriore (cosa assai rara e quindi degna di nota, in UFC).