martedì 22 novembre 2011

Tu non sei speciale

"Non nello spazio devo cercare la mia dignità,
ma nell'uso regolato del mio pensiero.
Non otterrei alcuna superiorità col possesso
di terre: con lo spazio, l'universo mi comprende
e mi inghiottisce come un punto; col pensiero,
io lo comprendo."

Blaise Pascal


Forse dovremmo smettere eh? Che ne dite? Smettere di presumere sugli altri. Smettere di pensare che ciò che abbiam capito noi, lo abbiamo capito noi soltanto, e il resto del mondo è stupido e inconsapevole. Perchè, quando ci si trova difronte ad un compagno d'allenamento, a qualcuno che come noi ha deciso di intraprendere la Via dell'Aikido, indipendentemente dal grado, dallo stato sociale, dalle sue esperienze che non conosciamo e che mai conosceremo veramente, dobbiamo per forza far sì che in noi si faccia largo il subdolo pensiero, quella convinzione stupida e ottusa che ci fa sentire superiori, che ci obbliga a voler "dimostrare" chissà che, di esser più bravi comunque, del voler a tutti i costi "dargli una lezione" su che cosa l'Aikido veramente è?
E se fosse tutto sbagliato? E se la persona non fosse così stupida come il nostro presumere vorrebbe? Sì, una persona prima di tutto, non un kyu, uno yudansha o qualsiasi altra parola "inventata" per racchiudere l'essere umano in un limite, che lo definisca e lo intrappoli, in un "mondo fittizio", che se perde di questa consapevolezza ci mette a rischio, un grande rischio che la pratica di questa disciplina (che io ritengo meravigliosa e ancorché perfetta, forse), dovrebbe invece allontanare con tutte le sue forze?
L'Aikido dovrebbe metterci in ascolto, non essere un arrogante monologo delle nostre fissazioni. Ce lo insegna dal primo momento (se non lo ha fatto come converrebbe, nostra madre prima), anche attraverso la stessa didattica. Ci insegna che uke non-è-stupido, ma che anzi, grazie alla sua intelligenza, al suo muoversi più razionale possibile, possiamo costruire la tecnica che ci permetterà di fare dell'Aikido. E cos'è uke se non una persona? Dunque nel mondo fittizio del dojo, dovremmo accorgerci e non sorprenderci, nel ritrovare la rappresentazione di quel che ci circonda nel reale. Andare contro questo, è andare contro all'Aikido stesso. Perchè non comprenderlo, perchè pensare che sia corretto umiliare e svalutare, anche con il solo pensiero, chi (in un continuo processo di mutevole scambio) ci permette di crescere? Nessuno di noi è speciale e tutti lo siamo, con le nostre singolarità. Ma siamo sempre persone, anche se siamo solo deshi, shidoin o persino shihan e questo è un fatto che va sempre rispettato.
Qualche anno fa lessi un libro di Taisen Deshimaru Roshi. Poi lessi Fight Club di Palahniuk. Che cosa accomunerebbe i due? Fino ad allora, pensavo nulla. Ma smettere di imparare è morire.
L'uno parlava dell'autoperfezionamento, vera anima del Budo, atto di crescita verso la suprema consapevolezza del "se", del divenire "qui e ora". L'altro negava esplicitamente tutto ciò, ed attraverso il suo personaggio compiva il percorso contrario, vero sprofondo nell'autodistruzione assoluta. Poi, proprio nelle ultime pagine, nel punto più alto e più basso al contempo della narrazione, scrive: "Tu non sei speciale. Non sei nemmeno merda o immondizia. Tu sei. Tu sei soltanto e quello che succede succede soltanto". Zen. Come Deshimaru.

sabato 12 novembre 2011

Chiarezza d'intenti

"Being able to perform a million jiu-jitsu techniques won't make you a good instructor. Although it is very common to see an instructor teach random techniques, this approach will definitely not help students understand what they are doing."

Rigan Machado


Bisognerebbe averlo, un presupposto. Onde evitare fraintendimenti di sorta. Quando si "affronta" la pratica dell'Aikido, quando si affronta anche una sola tecnica, tale presupposto è fondamentale. E più ci si addentra nella complessità tecnica e più è impossibile farne a meno. Dunque che cos'è questa premessa? Questa premessa è la chiarezza d'intenti.
Cosa sto facendo sul tatami, quando mi alleno? Perchè faccio uno spostamento specifico, invece di un altro? Perchè inizialmente non ci si può muovere liberi, perchè uke non può attaccare come gli pare? Perchè il tutto deve assumere un senso logico. La logica è quella che ci detta cosa è sensato fare e cosa è solo un inutile spreco di energie. Sono d'accordo, non sempre è così facile e limpido riuscire a scorgervi questa benedetta logica, nell'esecuzione di un kihon no kata, ed è infatti lì che dapprima dovrebbero concentrarsi tutta la nostra attenzione e i nostri sforzi. Perchè compiere un tenshin, se questi davvero non mi è utile? Ma sappiamo realmente che cos'è un tenshin? E "utile" in che senso? Si, occhei, un tai sabaki che ci viene insegnato sin dalle primissime ore di pratica, ma il perchè si ritiene "funzionale" (ehi, dove già ho sentito questo discorso?), durante la costruzione tecnica dovrebbe essere premessa fondamentale, talvolta ahimè tralasciata. Appunto. Il movimento, il gesto, la postura, nascondono sempre (o dovrebbero nascondere), una motivazione ben precisa, giustificazione fondamentale del suo stesso esistere, assolutamente lontana dalla mera abitudine/consuetudine. Quando non vi è risposta, quando si fa quel che si fa, perchè così è (facendo un po' spallucce), allora ci si dovrebbe fermare ad interrogarsi attentamente del perchè.
L'esempio del tai sabaki di sopra, è semplice e diretto, per chi ha qualche anno di pratica. Diviene sicuramente più "drammatico" (l'esempio), quando ci si sposta verso qualcosa di più complesso, anche se per il sottoscritto non si tratta di spostarsi orizzontalmente verso qualcos'altro, ma al limite di addentrarsi più profondamente, dunque in verticale, verso lo specifico in oggetto. Dicevo, diviene drammatico nel momento in cui si propone uno studio sui principii (ah 'sti benedetti principii), con l'ausilio di un esercizio concreto. Ecco, se dovessi decidere di fare una cosa del genere (e più di una volta mi è capitato e mi capiterà di decidere di fare una cosa del genere), devo essere il più chiaro possibile, verso chi mi sta ascoltando. Perchè devo necessariamente presupporre che chi mi sta ad ascoltare non conosce le mie ragioni e che dunque starà a me spiegarle. Ed ecco che la chiarezza d'intenti iniziale, come presupposto diviene vitale, non solo per la riuscita dell'esercizio, ma per tutta la formazione futura, dalla quale dovremmo muovere per crescere ed evolvere nella nostra pratica. Mancata questa, mancato lo scopo preciso del mio esercizio (quale esso sia), mancata l'opportunità di capire e dunque maturare.
Vero è anche che per essere chiaro io, a mio supporto diviene imprescindibile una certa confidenza in termini, perchè tanto è importante essere chiari, tanto diviene utile la proprietà linguistica e la giusta didattica alla divulgazione dei concetti. E spesso accade l'opposto. Spesso è l'assenza di questa didattica a motivare "lo studio" (davvero?), di dieci(!) e più tecniche diverse, all'interno di una sola ora di pratica. E, cosa che produce ancora più perplessità, senza neanche lo sforzo di ricercare in esse una continuità di analisi, orientata proprio verso i principii (ebbastadaii) onnipresenti.