domenica 3 febbraio 2019

Frustrazione

Uno degli 'scatti' che per così dire hanno modificato la mia percezione della pratica, è stato il superamento di una fase di perpetua insoddisfazione, presente non solo nell'assidua frequentazione degli stage (regionali e nazionali), ma pure nella quotidianità dell'allenamento.
Questo inappagamento continuo è durato, ahimè, parecchi anni ed è, se si può azzardare un assioma, andato ad aumentare proporzionalmente al crescere della personale consapevolezza per la disciplina in sé.
Cosa c'era che non andava? Cosa mi faceva scendere dal tatami a fine keiko, in uno stato di depressione costante, che si ripresentava puntualmente alla successiva? Non solo, ma pure in forma di fantasma mi tormentava ogni qual vota il pensiero andava all'idea che quel giorno sarei dovuto tornare ad allenarmi. Prendere la borsa con il keikogi e avviarmi in palestra era uno sforzo davvero importante da affrontare e per poco - davvero poco - non ha ucciso totalmente la mia passione per l'Aikido e l'allenamento.
L'unico modo per poter aggredire il problema è stato ovviamente individuarlo, come primo atto: rimanere in costante autoanalisi, riconoscere le proprie mancanze in termini di concentrazione e attenzione alla materia, insomma considerare che la misura maggiore di responsabilità per questo stato d'animo fosse mia, sgorgasse dalla naturale indulgenza verso se stessi, che alimenta più o meno ognuno di noi.
Determinate e 'aggiustate' le responsabilità personali, sono passato a quelle che non dipendessero direttamente dal sottoscritto, ma che si originassero dunque al di fuori, quelle esterne che agivano su di me come soggetto passivo.
Anche questo è stato un processo non privo di sofferenza, ammettere le mancanze didattiche di certi insegnanti che - come chiunque - idealizzavo, e che non pensavo potessero essere fallibili (come del resto è ogni essere umano sulla faccia di questo pianeta).
Per certi versi si trattò di fare ordine (randori 乱取り, in senso lato) nei miei pensieri, regolare e controllare lo stato d'animo che pervadeva per tramutarlo, se possibile, in forza propositiva.
La chiave di volta, a questo punto dell'anamnesi, fu la determinazione specifica di ciò che stavo facendo a livello pratico, in parole povere: capire esattamente che cosa era l'Aikido, che cosa volevo dall'Aikido, e se l'Aikido stesso fosse davvero adatto a risolvere le mie inquietudini.
Questa maturità mi portò a considerare che non tutti gli insegnanti sono 'adatti' al sottoscritto, non dal punto di vista caratteriale, ma proprio dal lato specifico tecnico, che non tutto ciò che sul tatami vedo presentato come Aikido, io considero davvero in linea con la mia idea di Aikido e, infine ma davvero fondamentale: non esiste nessuna regola, legge, trattato o obbligo che mi costringa, come essere umano indipendente e dotato di intelletto, a dover accettare qualcosa che non riconosco e che, in ultima analisi, non mi aggrada, pena lo sconforto e la frustrazione mortale che porta alla scomparsa graduale e ineluttabile della passione per questa disciplina.
Se vi trovate in un momento simile a quello che ho attraversato, se pensavate di aver risolto e improvvisamente vi rendete conto di essere nuovamente intrappolati in questo stato d'animo, il disperare senza direzione è l'ultima delle reazioni consigliabili.


Fermarsi, riflettere e riconsiderare se stessi e la disciplina, è quanto di più sensato per evitare una maledettissima e inconcludente frustrazione, il cui risultato ultimo è farci detestare qualcosa per cui un tempo, magari, provavamo una passione profondissima. Non lasciate che accada.

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