sabato 18 agosto 2012

Per andare dove dobbiamo andare...

La fauna di Roquebrune è sempre bella variegata.

Vi ho trovato, come sempre da quando vi partecipo, una qualità generale ottima. Ma anche no.
Mi spiego.
E' vero, ed è vero lo ribadisco, che uno stage del genere è assolutamente fondamentale e ricchissimo di spunti su cui lavorare durante l'intero arco dell'anno (ho sempre l'impressione di "finire i sacchetti" anzitempo, dove raccogliere tutto il lavoro che lo stesso Tissier parsimoniosamente distribuisce), ma è ben più di una possibilità trovare, tra i tanti che calcano il tatami francese dalle più disparate regioni dell'Europa e oltre, un livello non poi così "superiore", che sopperisce piuttosto e di molto, la propria incapacità tecnica (vittima di troppa approssimazione e della velocità d'esecuzione, forse), con un eccessivo uso della forza muscolare, quasi a divenire non più un allenamento che fonda le sue basi sullo studio tecnico in primis, ma piuttosto una sorta di gara d'atletica, dove a spuntarla in misura decisamente subordinata è l'Aikido, quando dovrebbe essere il contrario.
Preciso: non sono di quelli che pretendono una pratica senza sforzi anzi, deve essere fisicamente impegnativa, ma per questo intendendo sempre un uso ragionato della forza, non un inutile dispendio, nonché rischiosissimo del farmi mancare/fraintendere l'obiettivo dell'allenamento.
Bisogna preparare il proprio fisico. Poiché è di li che si passa.
Ma bisogna evitare che questo divenga il nostro principale scopo, che la tecnica si esaurisca su una prova di forza e velocità, che il tutto ci decentri dall'ascoltare il momento del contatto, dalla dinamica dell'azione, che divenga appunto sforzo fine a se stesso, per il gusto di cosa, poi?
C'è una bella differenza - tanto per parafrasare un Maestro - tra l'essere dei buonissimi atleti ed essere budoka.
E sul tatami di Roquebrune, questo rischio, questa differenza alcune volte, si corre e si vede.
E me ne dispiaccio molto.

Ma ne dispiaccio perché vedo in questo, il grande torto che si fa all'anfitrione di casa, ad un Christian Tissier attentissimo nella ricerca della didattica più limpida possibile, consapevole del rischio.
Ma nonostante, accade.

Ed è così che mi ritrovo negli ultimissimi minuti di uno stage sudatissimo, a scambiare con un collega che come una perfetta macchina programmata, ripete pedissequamente le "immagini" che ha appena visto, ad una velocità degna dei centometristi, ma con un piccolissimo particolare (da non poco): scordandosi completamente del sottoscritto.
Cioè, scordandosi di quello che dovrebbe essere il centro del suo interesse.

Ora, il sottoscritto solitamente, al primo contatto con un collega appena conosciuto, cerca sempre di essere attentissimo a tutto ciò che accade, "presente il più possibile", sintetizzerei.
E di rimando, normalmente, ottengo la stessa attenzione. Ed è su queste basi, su questa partenza che ripongo tutta la fiducia possibile per un lavoro costruttivo per entrambi.
Chiaro diviene il mio disappunto, quando mi accorgo che il partner, "viaggia da solo e pure spedito".
Ed è qui allora, che mi sento in dovere di intervenire, ed introdurre la terribile e temutissima possibile variabile.
Cosa accade infatti, se nel nostro lavoro programmato fino all'ultimo movimento, il compagno con cui ci troviamo a scambiare, improvvisamente, cambia qualcosa?
Dramma. Blocco. Impossibilità di rimettere insieme i pezzi e ripartire.
Questo accade, quando ci si concentra troppo su un'immagine, sulla forza e la velocità che ci sembra di scorgere nel nostro modello, al quale vorremmo tanto somigliare.
Ed è questo che è accaduto. Con mio dispiacere, come dicevo poc'anzi.

Come nella famosa scena con Peppino e Totò: la primissima preoccupazione non è conoscere a tutti i costi il luogo della destinazione, ma essere padroni del linguaggio opportuno.
Solo così si può veramente dialogare e non finire a far monologhi, magari ironici, magari anche bellissimi da vedere, ma del tutto scollegati e privi di quel senso, che l'Aikido dovrebbe invece sempre tener presente.

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