sabato 12 novembre 2011

Chiarezza d'intenti

"Being able to perform a million jiu-jitsu techniques won't make you a good instructor. Although it is very common to see an instructor teach random techniques, this approach will definitely not help students understand what they are doing."

Rigan Machado


Bisognerebbe averlo, un presupposto. Onde evitare fraintendimenti di sorta. Quando si "affronta" la pratica dell'Aikido, quando si affronta anche una sola tecnica, tale presupposto è fondamentale. E più ci si addentra nella complessità tecnica e più è impossibile farne a meno. Dunque che cos'è questa premessa? Questa premessa è la chiarezza d'intenti.
Cosa sto facendo sul tatami, quando mi alleno? Perchè faccio uno spostamento specifico, invece di un altro? Perchè inizialmente non ci si può muovere liberi, perchè uke non può attaccare come gli pare? Perchè il tutto deve assumere un senso logico. La logica è quella che ci detta cosa è sensato fare e cosa è solo un inutile spreco di energie. Sono d'accordo, non sempre è così facile e limpido riuscire a scorgervi questa benedetta logica, nell'esecuzione di un kihon no kata, ed è infatti lì che dapprima dovrebbero concentrarsi tutta la nostra attenzione e i nostri sforzi. Perchè compiere un tenshin, se questi davvero non mi è utile? Ma sappiamo realmente che cos'è un tenshin? E "utile" in che senso? Si, occhei, un tai sabaki che ci viene insegnato sin dalle primissime ore di pratica, ma il perchè si ritiene "funzionale" (ehi, dove già ho sentito questo discorso?), durante la costruzione tecnica dovrebbe essere premessa fondamentale, talvolta ahimè tralasciata. Appunto. Il movimento, il gesto, la postura, nascondono sempre (o dovrebbero nascondere), una motivazione ben precisa, giustificazione fondamentale del suo stesso esistere, assolutamente lontana dalla mera abitudine/consuetudine. Quando non vi è risposta, quando si fa quel che si fa, perchè così è (facendo un po' spallucce), allora ci si dovrebbe fermare ad interrogarsi attentamente del perchè.
L'esempio del tai sabaki di sopra, è semplice e diretto, per chi ha qualche anno di pratica. Diviene sicuramente più "drammatico" (l'esempio), quando ci si sposta verso qualcosa di più complesso, anche se per il sottoscritto non si tratta di spostarsi orizzontalmente verso qualcos'altro, ma al limite di addentrarsi più profondamente, dunque in verticale, verso lo specifico in oggetto. Dicevo, diviene drammatico nel momento in cui si propone uno studio sui principii (ah 'sti benedetti principii), con l'ausilio di un esercizio concreto. Ecco, se dovessi decidere di fare una cosa del genere (e più di una volta mi è capitato e mi capiterà di decidere di fare una cosa del genere), devo essere il più chiaro possibile, verso chi mi sta ascoltando. Perchè devo necessariamente presupporre che chi mi sta ad ascoltare non conosce le mie ragioni e che dunque starà a me spiegarle. Ed ecco che la chiarezza d'intenti iniziale, come presupposto diviene vitale, non solo per la riuscita dell'esercizio, ma per tutta la formazione futura, dalla quale dovremmo muovere per crescere ed evolvere nella nostra pratica. Mancata questa, mancato lo scopo preciso del mio esercizio (quale esso sia), mancata l'opportunità di capire e dunque maturare.
Vero è anche che per essere chiaro io, a mio supporto diviene imprescindibile una certa confidenza in termini, perchè tanto è importante essere chiari, tanto diviene utile la proprietà linguistica e la giusta didattica alla divulgazione dei concetti. E spesso accade l'opposto. Spesso è l'assenza di questa didattica a motivare "lo studio" (davvero?), di dieci(!) e più tecniche diverse, all'interno di una sola ora di pratica. E, cosa che produce ancora più perplessità, senza neanche lo sforzo di ricercare in esse una continuità di analisi, orientata proprio verso i principii (ebbastadaii) onnipresenti.

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